L’ultimo giorno di scuola

Per tutta la mattinata mi sono portato quegli occhi impauriti dietro il casco.

Luigi Poderico
3 min readJun 10, 2021

Ho comprato la mia moto nel ’95 con il mio primo stipendio e l’ho usata per più di dieci anni ogni volta che potevo. Mi fermava solo la pioggia. Sapevo bene dei rischi che correvo andando in moto: due piccoli incidenti me l’hanno ricordato durante la mia carriera di centauro. Ma il senso di liberà che provavo andando in moto bilanciava ogni rischio.

Ad un certo punto ho iniziato a far caso agli incidenti tra scooter ed automobili. Tanti, se non quasi tutti, vedevano coinvolti un ragazzino alla guida della moto. La dinamica, quasi sempre la stessa: un motorino che urta un’automobile che svolta o che esce da una traversa. La causa: il motociclista che non annovera tra le possibili azioni delle automobili quella di poter cambiare verso di marcia. Chi ha la peggio: il motociclista.

Oggi è l’ultimo giorno di scuola, almeno qui in Toscana. Come sempre in quest’anno di COVID ho accompagnato i miei figli a scuola. Il traffico è minimo: un po’ perché le scuole stanno finendo; un po’ perché chi può, prende la moto. Proprio come la moto con due passeggeri che mi sorpassa a velocità sostenuta nel tratto urbano che stavo percorrendo.

Non faccio in tempo a completare il mio pensiero sulla guida spericolata del mezzo, un 125 a mio parere, che 200 metri dopo il motociclista, con moto e passeggero, prende in pieno un’automobile che svoltava a sinistra. Cazzo! Questa volta la dinamica dei tanti incidenti che avevo analizzato, guardando i mezzi sfasciati fermi per la strada, l’ho vista in diretta.

Mi fermo per prestare i soccorsi. Chiedo agli altri che si sono fermati di chiamare i soccorsi al 112, perché ho letto che ora è il numero unico per richiedere soccorso. Il passeggero si rialza in piedi con qualche escoriazione, ma il motociclista non si alza. È vigile e risponde alle domande. Lo faccio rimanere a terra nella posizione in cui si trova, sulla scorta delle lezioni di primo soccorso. Lamenta dolore al polso ed al bacino. “Come ti chiami? Dove hai il telefono che avverto i tuoi?” E così scopro che il ragazzo a terra è un amico di mio figlio, che come mio figlio andava a scuola per il suo ultimo giorno di scuola.

Con lo sguardo controllo anche la macchina. Il lunotto è completamente distrutto e la parte posteriore lesionata. Dalla macchina esce una ragazza, anche lei molto giovane, con la divisa di un supermercato della zona: lei probabilmente andava a lavorare. Era in uno stato confusionale completo ed evidentemente sotto choc. Da un bar lì vicino, qualcuno ha portato dell’acqua per lei e l’amico del motociclista.

Per tutta la mattinata mi sono portato quegli occhi impauriti da dietro il casco.

Ho lasciato il ragazzo solo all’arrivo dell’ambulanza. Ho poi saputo che dovrà essere operato in ortopedia e che, a parte qualche osso rotto, per il resto sta bene.

Questa storia non vuole avere una morale scontata e banale. Sì certo! La raccomandazione di andare piano non manca mai: è un dovere per chi ha già qualche capello bianco. Questa storia vuole essere solo una testimonianza ed un modo per scaricare il carico emotivo.

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