Racconto strambo — Nome in codice Cupra Born
In accademia mi hanno insegnato a non sottovalutare mai il nemico. Ora, il mio peggior nemico sono io.
Fin da bambino, i miei amici mi hanno sempre chiamato Carota a causa del colore rosso dei miei capelli. Ed anche oggi che esco dall’accademia pronto per il corso da pilota, vengo salutato dai compagni di corso come Capitan Carota. Sono molto simpatici i miei compagni. Ora mi aspettano due settimane di vacanza prima di raggiungere la mia prossima destinazione. Siccome so già che mi aspetterà un vero e proprio corso di sopravvivenza, ho programmato cosa farò in vacanza. Ascolterò gli altri per capire e non per rispondere. Valuterò le cose che ho fatto e pregusterò quelle che desidero fare. Praticherò la meditazione osservando la mia respirazione. Forse la più importante: passare del tempo con le persone importanti della mia vita. Due settimane di riposto, che rappresentano una concessione ricevuta per grazia divina prima della passeggiata all’inferno che mi aspetta al corso piloti. Nome in codice: Cupra Born.
Sono con Roberto, il mio istruttore, al bar per l’ultimo caffè al Cupra Born. Diciotto mesi di corso ed un brevetto in tasca. “Cos’altro porterai con te uscendo dalla base?” mi chiede lui con la tazzina in mano. Ci penso qualche secondo, per restringere le opzioni ad una sola possibile risposta. Lo sguardo si blocca tra le tazze impilate sulla macchina del caffè. Il pensiero si lascia cullare dal rumore della macina-chicchi. Nella mente sono impressi i ricordi di tante lezioni apprese, come se fossero nomi stampati su un foglio bianco. Quante volte sono stato sull’orlo dello svenimento? Ne ho perso il conto. Quante volte ho avuto paura? Tante e non ci fai mai l’abitudine. È come un cane fedele che ti segue durante una passeggiata. Si allontana, ma poi ritorna sempre. “Ho imparato una lezione importante.” “Quale?” mi chiede lui. “Ora so così tante cose sulla paura, che mi teme essa stessa”. Quest’ultimo caffè ha un sapore diverso.
Missione di volo numero 24. Ore di volo accumulate 2810. Inizio ad avere l’impressione che ci sono due versioni di me. Una più matura e spontanea, quando sono a terra. Un’altra più giovane ed istintiva quando sono in aria. Di questa dicotomia non sono affatto contento, perché non mi aiuta a star bene. Devo ricuperare un’identità univoca, che sia la stessa in aria come in terra. Devo anche essere più cosciente ed osservare attentamente i miei comportamenti. Alcuni anche compulsivi, come acquistare una marea di oggetti. Sono chiaramente acquisti inutili, ma non riesco a fermarmi. In accademia mi hanno insegnato a non sottovalutare mai il nemico. Ora, il mio peggior nemico sono io. Questa mia debolezza. La mia dicotomia. A mio favore gioca il fatto che so controllare bene la paura. Ho fiducia in me stesso. So che ne verrò fuori migliorato. Una nuova persona che saprà accordare le due metà. Quella in terra e quella in aria.
Missione di volo numero 196. Ore di volo accumulate 16975. Quasi una vita passata dietro una cloche. Quasi per gioco, mi sono chiesto: chi vogli essere tra cinque anni? Una persona che sa difendersi dalle avversità della vita. Immagino questo come il cammino del primo alpinista che cerca un cammino per arrivare sulla cima di una montagna mai esplorata. Sa bene da dove parte e sa bene dove vuole arrivare perché a portata di vista. Cosa c’è nel mezzo? Lo saprà solo salendo, cercando un ricovero opportuno per spezzare la scalata, riprendere le forze e proteggersi dalle intemperie. La geometria della scalata è completamente ignota, fino al raggiungimento della vetta. Tra cinque anni voglio conoscere quali sono gli assiomi che fondano la geometria della mia vita. Questo mio proponimento sembra essere sigillato e celebrato dalle frecce tricolori che proprio ora sorvolano la base passando in formazione da crociera. Cinque aerei come i cinque anni del gioco di chi voglio essere.
Appena uscito dall’aeroporto di Hanoi uno strano tipo attira la mia attenzione. Un venditore di pesci rossi, ambulante con il suo motorino allestito con un baldacchino sul retro pieno di buste di plastica, con acqua e pesci. Senza soggezione sosteneva il mio sguardo incuriosito. Io come lui, come ogni altra singola persona, abbiamo un compito da assolvere. Senza soggezione e con lo sguardo fiero.
In albergo mi concentro sulla mia missione, senza troppo insistere. Concentrazione e mente chiara. Focalizzare attenzione e pensiero per bucare la corazza dell’ignoranza. Una notte di riposo è quello che serve per una giornata piena di colore e di dettagli. Per mantenere sempre appuntito il pennello della mente.
Oggi è il mio ultimo volo. Cammino a piedi sulla piazzola di cemento. Giro intorno al jet Typhoon della RAF per le verifiche prescritte. Il piano di volo prevedere una ricognizione sul Mar Nero. Un’attività di routine che oggi assume un valore tutto diverso. Il mio ultimo volo sul mio aereo, in formazione con altri due velivoli: il mio squadrone preferito. Anche se i pochi capelli rimasti non sono tutti bianchi, non ho più l’età per volare con i Typhoon. Da domani, mi toccherò fumare un sigaro mentre firmo gli ordini di servizio. Spero solo che una vita con troppe comodità non mi levi le soddisfazioni a cui sono abituato. Da lontano vedo la squadra dei pompieri, sempre uniti. Sempre pronti ad intervenire, nel caso servisse. Prendo la penna e compilo il foglio di volo. Nome, cognome, grado, destinazione, piano di volo. Un ultimo sguardo ai motori ancora freddi prima di salire a bordo. È tempo dell’ultimo faccia a faccia.